Archivi Mensili: dicembre 2013

Può darsi che non cambi niente. Oppure sì. (E’ una di quelle cose lunghe e personali)


getting-olderMolti uomini, mentre si avvicinano ai quarant’anni o non appena li superano, sentendo di essere a ridosso di un momento critico della loro vita, percependo che la forza fisica non è più quella di una volta, che si fanno sentire i primi acciacchi, che i malanni, anche quelli di stagione, tendono a lasciare segni più profondi, decidono di dare nuova linfa alla loro vita sportiva. E’ un atteggiamento che mi ha sempre fatto sorridere, ma ora che i quaranta sono ad un passo (mancano un paio d’anni) lo capisco meglio. Però, se mi è concesso, avrei deciso di fare qualcosa di diverso.

Iniziamo come si deve, ossia dal principio. Perdonatemi e abbiate pazienza se una serie di questioni private entrano in un post pubblico, ma ho le mie ragioni: è la spiegazione del perché da ora in avanti intendo modificare, progressivamente ma in maniera radicale, le mie interazioni in rete. Che l’operazione riesca non è cosa certa. Di molte delle cose che scrivo importerà a pochi, gli altri ricordino che non sono obbligati a leggere, né a commentare: tre quarti di quello che scriverò sono una lunga premessa.

Ho avuto la fortuna (che è anche una sfortuna) di essere il figlio di un giornalista. Partirò dalla fortuna.

Iniziamo a chiarire che “giornalista” è un mestiere, non una professione e proprio per questo non dovrebbe esserci bisogno di un albo, di un esame o di un ordine, se non come organismo di controllo esterno e non formato da giornalisti. Ma questo c’entra poco. E’ un mestiere, proprio come il falegname: puoi studiare quanto siano duri e difficili da modellare i vari tipi di legno o come son fatte le frese, le pialle, i punteruoli, le raspe, ma finché non ti metti al banco con qualcuno che ti spiega come funzionano le cose nella pratica sarai una sorta di idiota sapiente.

Ero convinto che avrei fatto l’avvocato internazionalista, la Sapienza ha smorzato parzialmente l’entusiasmo, il lavoro e i primi soldi guadagnati lo hanno ammazzato definitivamente. Ho iniziato a lavorare a 19 anni (a 18*, a dire il vero, ma non come giornalista), ho fatto il praticantato spalmato su quattro o cinque redazioni, ovviamente facilitato dal fatto di avere un padre collega e con un ampio raggio di conoscenze.

Ho corso e corro molto, ho lavorato e lavoro tanto. Perché il mestiere mi piace, ma anche, ovviamente, per una certa ansia di dimostrare che non sono un raccomandato. Cerco di fare quel che faccio con la massima onestà intellettuale e con il massimo della professionalità. Non sempre rispondo alle aspettative di lettori e ascoltatori, quasi mai alle mie.

 Un collega con qualche anno più di me che stimo molto e che mi onora della sua stima mi ha detto: “Sei bravo, ma non smettere di studiare”. Quest’ansia e questo correre, mi rendo conto a ridosso dei quarant’anni, hanno avuto l’effetto deleterio (e qui sta la sfortuna di cui sopra) di farmi rimanere troppo spesso davanti al banco con fresa, pialla e legno. L’empirismo ha avuto la meglio sulla teoria e questo è un bene, dirà qualcuno, ma il lavoro del giornalista non è semplice come quello del falegname, purtroppo: ci occupiamo quotidianamente di molti argomenti diversi, il che rende la nostra conoscenza dei fatti e dei processi molto fragile. Se siamo “storici del presente o dell’istante”, secondo la fortunatissima definizione di Umberto Eco, lo siamo senza la profondità dello storico, ma con la pretesa di esserlo.

Oltre a raccontare i fatti, dovremmo saperli contestualizzare, poterli inserire in un processo (ammesso che ve ne sia uno), riuscire a coglierne le implicazioni intellettuali e di pensiero, ipotizzarne le conseguenze. O forse no, forse sbaglio. La realtà è che non so nemmeno questo, così come non so mille altre cose che vorrei imparare. Sono un divoratore di saggi, ma per leggerne molti mi mancano le basi di conoscenza, così leggo altri saggi e altri articoli che amplino questa base, ma anche per questi serve qualcosa in più. Il processo infinito e richiede 1) voglia di imparare 2) concentrazione 3) tempo.

Dunque non so se quello che scrivo abbia a che fare con il mestiere del giornalista o con me stesso, di certo corrisponde alla mia idea di giornalismo e alla ricerca del mio ideale di me stesso (perdonate la cacofonia).

I social network, la rete, hanno una capacità di ampliare questa conoscenza in maniera smisurata, di darti nuovi spunti e nuove prospettive. Devo conservarli come fonte di notizie, come stimolo per pensieri laterali, diversi, non convenzionali, come osservatorio sulle persone, non come proiezione del mio ego. Troppo spesso, in questi ultimi mesi, mi sono abbandonato ad un uso di questo secondo genere, come se potessi essere un maitre a penser di chissà quale tipo (de sto cazzo, direbbe qualcuno). 

Per farla breve, ho sprecato tempo, che ora voglio dedicare a studiare. So troppo poco, voglio sapere di più, per fare il mio lavoro in maniera migliore e con maggiore profondità. E’ una settimana che non scrivo un tweet e in questa settimana ho letto un libro che mi interessava molto con una certa tranquillità, il che mi ha fatto venire altre idee di lettura che mi terranno parecchio occupato.

1) Non vuol dire che ci riuscirò. 2) Non vuol dire “esco da Twitter e sbatto la porta” in stile Mentana. Un giornalista non può prescindere da questo e da altri mezzi (Facebook e Google+). 3) Vuol dire che cercherò di scrivere meno, di leggere di più, di non prendere posizioni prima di aver capito più a fondo. 4) Di nuovo: non vuol dire che ci riuscirò

Continuerò a cazzeggiare su Twitter durante i talk show e Sanremo, probabilmente. Continuerò a diffondere cose che leggo e che mi interessano, ma con minore regolarità.

In breve: a ridosso dei quarant’anni non ricomincerò a giocare a tennis, non andrò a correre, non mi ficcherò in una palestra, ma ricomincerò un allenamento mentale che ho lasciato da parte per troppo tempo.

* Ho iniziato a lavorare intorno ai 18 anni in un posto dove si facevano le rassegne stampa per i dirigenti dell’IRI. Si entrava intorno alle 4.30 del mattino, c’erano dei lettori e dei ritagliatori/incollatori/fotocopiatori. Ero tra i secondi: una volta che il lettore aveva selezionato l’articolo, entravamo in campo noi che dovevamo trovare il modo di farlo entrare in un foglio A4 da fotocopiare. La capa, suppongo inacidita da anni di sveglie a quell’ora, era terribile e tirava cazziate micidiali quando trovava una sbavatura di Pritt o un allineamento non proprio perfetto. Finito là, andavo, intorno alle 6 e mezza di mattina, a prendere il posto (sì, alla Sapienza funziona/funzionava così) per seguire le lezioni di diritto privato.

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