Reduce da una cena con romani deportati a Milano, l’ennesima volta nella quale mi ritrovo dal lato di quelli che al capoluogo lombardo di sono adattati talmente bene da non avere alcuna intenzione di muoversi, mi risveglio con la classifica del Sole 24 Ore che mette la città al vertice per la qualità della vita. Con tutti i suoi difetti, penso che sia un primo posto meritato. Sarà pur vero che a Bolzano o Aosta si respira un’aria migliore e che ci sono posti al nido per tutti o quasi, ma è vero anche che una provincia deve caratterizzarsi per la sua capacità di essere un polo imprenditoriale e lavorativo e per il saper offrire un buon numero di opportunità culturali, intellettuali. sportive e di vita. E poi, ne converrete, tutto si gioca sull’equilibrio tra la dimensione e l’amministrazione: far funzionare il trasporto pubblico a Belluno non è la stessa cosa che farlo funzionare a Milano e altrettanto vale per la raccolta dei rifiuti.
Traguardo raggiunto. E ora? Domanda enorme e complessa.
La mia sensazione è che in questi anni l’hype di Milano si sia nutrito anche di un confronto impietoso con Roma, il confronto tra una città in grande ascesa che si comporta come una specie di repubblica indipendente e una città declinante, in decadenza, che non può far altro che soffrire il peso di una politica onnipresente e di una cittadinanza talmente rassegnata da aver dimenticato, in gran parte delle sue componenti, un bel pezzo del suo senso civico.
Ma non è con Roma che può e deve confrontarsi Milano. Roma è eterna per definizione, per definizione splendida, sterminata, inarrivabile e può permettersi per questo di cadere, di affondare, persino di dar l’impressione di non sapere come rialzarsi. Ma – e spogliatevi di tutti i pregiudizi, se ne avete – è sempre Roma. La capitale gioca in un’altra categoria, che non vuol dire “migliore” o “peggiore”, ma semplicemente diversa. Confrontereste, per dire, Usain Bolt con Roger Federer?
Dunque la si smetta con questo derby demenziale. Milano gioca una partita diversa, più grande, una partita europea e – a volere essere estremamente ambiziosi – mondiale, partita nella quale la competizione è feroce e va ben oltre il saper tenere pulita una strada, il saper trattare i rifiuti o l’avere un trasporto pubblico che funziona. E’ una partita che si gioca, tra le altre cose, sull’attrazione dei talenti, sull’apertura al nuovo e al cambiamento, sulla capacità di essere avanguardia culturale e intellettuale. Le premesse ci sono tutte, basta che non ci si sieda ad osservare compiaciuti la presunta vittoria su Roma come se fosse il massimo traguardo raggiungibile.
Ho vissuto anche io lo stato di deportato dal 1973 al 1975. Altri tempi. E’ vero Milano aveva ed ha una organizzazione urbana decisamente migliore rispetto a Roma. Già 50 anni fa si lavorava meglio. Tuttavia avvertivo l’esigenza di tornare a casa, nella Capitale, ogni settimana, per ricaricarmi. Pur sobbarcandomi disagi di viaggio oggi dimenticati, il cielo, il clima e la bellezza della mia città mi davano l’energia per affrontare il ritorno al lavoro nel capoluogo lombardo. Non è enfasi. Sono le sensazioni reali provate che la classifica del Sole 24 Ore non sa ancora misurare e che mi hanno consentito di accettare più serenamente la lontananza dalla famiglia.