Salvini, la citofonata e quello che dovrebbero fare i giornalisti
Ok, iniziamo da un paio di punti, altrimenti chissà quale versione passa.
1) Penso che la citofonata di Salvini sia una cosa orrenda: oltre ad aver commesso un atto illegale e ad aver esposto al pubblico una famiglia senza alcuna prova, lo ha fatto confidando nelle parole di una persona resa fragile da un grande dolore.
2) Penso anche che tutta la gestione mediatica della vicenda sia stata sbagliata. Mi ci metto anche io: pur avendo stigmatizzato subito, ci abbiamo giocato sopra.
Tutto ciò premesso, oggi su Twitter si è scatenato un mezzo putiferio per questa cosa qua
Senza polemica.
Mi dite esattamente, dato il contesto, secondo voi cosa avrebbero dovuto fare i giornalisti che stavano seguendo Salvini durante la citofonata?
— Simone Spetia (@simonespetia) January 23, 2020
Il tema, quindi, preciso ulteriormente, non è il cosa si sia fatto di quel materiale una volta che è approdato nelle redazioni, ma il come avrebbe dovuto agire il gruppo di persone alle quali era stato assegnato il compito di seguire la giornata del leader leghista.
Primo punto: come mi fanno notare da Valigia Blu, non avrebbero dovuto ridacchiare
Forse evitare di ridere e sghignazzare e magari fargli una domanda: “Scusi ma in uno Stato di diritto non si dovrebbe fare una denuncia se si hanno prove e non dovrebbero occuparsene le forze dell’ordine?” “Non pensa sia pericoloso esporre così una famiglia alla gogna pubblica?”
— Valigia Blu (@valigiablu) January 23, 2020
Sul secondo punto, ossia quali domande fare dopo una sceneggiata di quel genere, si concentrano alcuni interrogativi. La maggior parte delle risposte che ho ricevuto (319, per lo più indignate con me) dicono, con toni più o meno sfumati, esattamente questa cosa
Fare domande? Sottolineare che quello non era un atto legittimo?
— Eleonora Camilli (@EleonoraCamilli) January 23, 2020
Evitare di ridere e chiedergli “mi scusi ma si rende conto di quello che sta facendo”?
— donatella scarnati (@donatellaesse) January 23, 2020
Facile, NON partecipare come parte attiva a quello scempio.
In sostanza fare il loro lavoro.— Luca Sacchi (@gurubook) January 23, 2020
Per quanto ampiamente maggioritarie, non sono le sole opinioni.
Loro non dovevano/potevano fare niente: sono dipendenti e fanno quel che gli dicono i capi. Secondo me i problemi sono che 1. Non c’era ragione di una presenza così nutrita 2. Non c’era ragione di considerarla una notizia di apertura ovunque e per molto tempo
— Davide Maria De Luca (@DM_Deluca) January 23, 2020
È una conversazione lunare. I giornalisti non sono vigilantes. Sono testimoni. Li giudichi per quello che scrivono e per le domande che fanno. Punto.
— Luca Tremolada (@lucatremolada) January 23, 2020
Ho un’idea abbastanza precisa e piuttosto dura su come molte radio, molte televisioni e molti siti hanno gestito quel materiale una volta che ce l’hanno avuto in mano: male. E vi raccomando di prendere queste parole anche come un’autocritica.
Su come invece abbiano agito quelli che erano là e sul gettargli la croce addosso, ecco, ho molti dubbi.
Dalla scrivania, fuori contesto, vedendo e rivedendo quel video è molto facile dire che cosa avrebbe fatto ciascuno di noi, ma quando sei sul campo le cose cambiano un po’ e ci sono parecchie sfumature.
Senza assolverli, ma cercando le attenuanti, mi vengono in mente un po’ di cose.
– Le agende dei leader politici in campagna elettorale sono fittissime. Quella di Salvini, visto che è di lui che parliamo, prevede cose come 8:30 Piacenza, 10:00 Parma, 12:00 Modena e così via fino a sera. Se dalla redazione ti dicono che devi seguire la giornata di Salvini, tu saprai che lui viaggerà scortato e con autista, mentre te, se ti va bene e lavori in TV viaggi con la troupe, altrimenti ti fai mezza Emilia Romagna da solo guidando in macchina, inseguendo qualcuno che per il 90% del tempo dirà le stesse cose che ha detto un’ora e mezza prima, ma potrebbe infilare da qualche parte una dichiarazione importante che ti sfugge. Possiamo criticare questo modo di mandare in giro la gente per fare un lavoro di poco valore, ma è quello che avviene. Ti fai tutta una giornata così, con temperature tra -1 e 8 gradi, poi arriva la sera, non vedi l’ora che tutto questo finisca perché anche tu ti rendi conto che non valorizza particolarmente la tua professionalità (ma che ci devi fare, il lavoro è anche questo) e quello ti piazza la citofonata che non ti aspetti. Un po’ di shock, un po’ di assenza di lucidità e il gioco è fatto.
– E ancora. C’era la possibilità di fare domande? O si è semplicemente allontanato con la scorta, lasciando là il colpaccio mediatico e andandosene via talmente veloce da sfruttare bene l’attimo di disorientamento? Sinceramente non lo so.
– Alcuni hanno scritto: i giornalisti avrebbero dovuto andarsene. Ma chi c’era là a seguirlo? In queste occasioni, proprio perché non è un lavoro molto piacevole, capita che le redazioni mandino dei collaboratori. E i telegiornali non di rado mandano solo un cameraman e un fonico per raccogliere immagini e audio. Ai secondi della parte strettamente giornalistica importa poco, ai primi importa che gli paghino il pezzo o la giornata e l’ultima cosa che farebbero è andarsene da dove il caporedattore, il caposervizio o il direttore gli hanno ordinato di stare. Anche qua, non conoscendo i dettagli, non mi permetto di giudicare.
Insomma, mi pare che li stiamo valutando come facevamo con gli arbitri prima dell’arrivo del Var: noi e i commentatori, in poltrona, con sei telecamere e moviola ultrarallentata sapevamo perfettamente che era rigore. Ma l’arbitro deve giudicare un’azione a velocità reale e può vederla una sola volta. Certo, è il suo mestiere, ma l’errore è dietro l’angolo.
Nota:
Se tutto questo servirà ad aprire un dibattito non tanto sul giornalismo in Italia (che è insieme molto meglio e molto peggio di come lo si dipinge, ossia ha picchi di eccellenza, sacche di resistenza al calo di qualità, ma anche alcuni esempi tra i peggiori del mondo occidentale), quanto sullo specifico del giornalismo politico e di come spesso sia ancora agganciato al “dichiarazionificio”, ben venga.
Postilla:
Qua Michele Boldrin apre un tema enorme.
Simone, davvero hai fatto questa domanda senza polemica ed in buona fede? Cioe’ non ti viene immediatamente da pensare che se una persona sta commettendo un reato un giornalista dovrebbe farlo notare e NON pubblicizzare l’atto?
— Michele Boldrin (@micheleboldrin) January 23, 2020
Il tema è quello eterno del giornalismo, ossia cosa è fit to be published? Se entrassi in un laboratorio nel quale si raffina Cocaina e riuscissi a fare delle riprese, dovrei avere remore a trasmettere la cosa, adeguatamente contestualizzata? E se mi imbattessi in casi di caporalato, come è avvenuto nelle tante inchieste realizzate in mezzo ai braccianti, in un contesto di lavoro nero, violenze e riduzione in schiavitù? Per dire: tecnicamente Snowden è nell’illegalità. Il criterio, credo, non può essere la conformità alle leggi dell’azione alla quale assisto o non solo quello. Il criterio (torno a bomba) è il modo nel quale tratti quel materiale, come lo presenti, come lo approfondisci, come ci lavori. Tutti elementi che nelle prime 12-24 ore della citofonata sono quasi completamente mancati (con lodevoli eccezioni).