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La famosa invasione dei destri in Primaria


C’è chi, in queste ore, sta lavorando su questionari distribuiti nei seggi e ne sta ricavando dei numeri. Potrebbe saperci dire a breve se la sensazione che tutti abbiamo avuto, ossia che un consistente numero di ex elettori del centrodestra è andato a votare alle primarie, corrisponde a verità.

Se così fosse, sarebbe un primo grande cambiamento negli schemi della politica italiana da molti anni, dovuto probabilmente anche alla decadenza dell’elemento polarizzatore, Silvio Berlusconi, e allo smarrimento che sta vivendo quello che fino a pochi mesi fa era il primo partito del Paese. Un cambiamento va salutato positivamente.

Credo che dovremo abituarci ad una modifica radicale del linguaggio con il quale trattiamo queste transizioni da uno schieramento politico all’altro. In queste ore se ne è parlato riferendosi a costoro come “delusi” nella migliore delle ipotesi, “infiltrati” nella peggiore. Per i sondaggisti, quando si tratta di elezioni e non di primarie, sono gli “indecisi”. Sarei contento se entrasse nel lessico politico italiano l’espressione “indipendenti”. È più dignitoso e rende esattamente l’idea del cambiamento che sta avvenendo.

Le primarie per scherzo


Secondo Bruno Tabacci, intervistato oggi dal Corriere della Sera, le primarie in Lombardia

Non devono essere competitive, perchè sarebbero un atto suicida. Abbiamo trovato il candidato che unisce, dobbiamo rafforzarlo.

Un’idea curiosa di consultazione popolare, no?

Ambrosoli


Dunque Ambrosoli annuncia la sua candidatura alle elezioni per la presidenza della Regione Lombardia. Ribadisco l’idea che al centrosinistra le primarie servano comunque. E che servirebbero anche allo stesso Ambrosoli. Così com’è è una candidatura forte solo a Milano e forse in provincia.

Candidature lombarde


Ancora in queste ore, leggo, il PD è indeciso se fare le primarie il Lombardia. L’idea di non procedere con la consultazione nel caso si candidi Umberto Ambrosoli, degnissima persona, presenta una forte incognita: quella di avere in campo una figura troppo milanese.

Facciamo un raffronto. Roma – intesa nella sua accezione più larga, ossia tutta la provincia – rappresenta circa tre quarti della regione Lazio, quindi scegliere un romano per candidarlo alla presidenza è mossa di successo quasi sicuro.

Milano, con la sua provincia, conta 3 milioni di abitanti, che non sono nemmeno un terzo di quelli della Regione. Sbaglierò, ma pensare di portare alle urne Bergamo, Brescia, Sondrio, Como, Lecco per farle convergere sul nome di Ambrosoli sarebbe piuttosto difficile.  A meno che la candidatura non sia preceduta da un’investitura popolare come può essere quella delle primarie.

Non dimentichiamoci che l'”effetto Pisapia”, tante volte evocato quando si fa il nome di Ambrosoli, è nato proprio da là. Dimenticarsene, per il centrosinistra lombardo, proprio ora che avrebbe l’occasione di governare, può essere esiziale. Magari sbaglio, eh.

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