Stasera è saltata la conversione in legge del decreto per il riordino delle province. Tra stasera e domani vi diranno che è stata colpa del PDL che ha presentato una pregiudiziale di costituzionalità; che è stata colpa dei troppi subemendamenti presentati in commissione; che la colpa originaria è del Governo, che ha inserito nel Salva Italia norme che hanno incasinato tutto.
La realtà è che per l’ennesima volta questo Parlamento non ha saputo condurre in porto una legge di alto valore simbolico, prima che pratico, esattamente come è avvenuto – solo per citare un paio di esempi clamorosi – con la legge sull’omofobia o quella elettorale.
Non sono un tipo che agita la bandiera dell’anticasta e, anzi, sono felice che i parlamentari del mio Paese siano pagati ben più che congruamente. Basta che facciano il loro mestiere: legiferare con scrupolo, una cosa che – specie in questo ultimo scorcio di legislatura – è avvenuto quantomeno con discontinuità.
Come dice quello? Ah, già: “Ci vediamo in Parlamento”. E se ci arriva è esattamente per questo.
Minuzia nella minuzia: Piacenza ha indetto per questa primavera un referendum per chiedere ai cittadini se sia il caso di uscire dall’Emilia-Romagna (non volevano essere accorpati a Parma, probabilmente hanno i carri armati al confine tra le due province, anche se non li ho mai visti).
Adesso che ne sarà del referendum e, soprattutto, dei soldi stanziati?